Non una lacrima, un’emozione evidente, improvvisa…..Non un gesto plateale…..Solo una voce ferma, solida, quasi fredda. Alberto Solesin, padre di Valeria, la giovane ventottenne morta nell’attentato del Bataclan a Parigi, nasconde il dolore dentro parole d’amore…Amore per i cittadini, per gli amici, per quella Francia che gli ha portato via la cosa più bella della sua vita. Per le forze dell’ordine, la Farnesina, per Andrea, fidanzato di Valeria. ” Per tutte le Valerie e gli Andrea che non si arrendono”, ha detto oggi al funerale della figlia. Poi, per ultimo, lascia “un pensiero per lei, Valeria”…Come se per ricordarla, bastasse pronunciare il suo nome. Nessun discorso, nessun ricordo, soltanto il suo nome.
Quello che oggi è il nome di tutti noi, di chi lascia il proprio Paese per lavorare, fare carriera, per farcela da solo. E che per sbaglio o per destino, si trova lì, in una sera qualunque di un giorno qualunque. Oggi San Marco è una folla di gente, gente comune, venuta da tutta Italia per salutare quel ” pensiero”. E noi, vogliamo ricordare non solo Valeria, ma tutti i ragazzi e le donne che ogni giorno combattono una guerra. Una guerra che molte volte non è neppure la loro, guerre in cui ci si trova in mezzo e da cui non si riesce più a uscire. E che vivono, o continuano a vivere, accanto a noi.
Vicino, troppo vicino. Il grande fotografo Robert Capa diceva che ” uno scatto non è mai abbastanza bello se non sei abbastanza vicino”. Andy c’era, vicino….Quando perse la vita in Ucraina, il 24 maggio del 2014. Era un giovane fotoreporter di trent’anni. Lui, quella guerra, non l’aveva voluta, cercata. Era semplicemente il suo lavoro. Un dovere morale far conoscere al mondo le barbarie che avvenivano in Ucraina. Aveva un figlio di due anni e una moglie bellissima, a casa, che lo aspettavano. E lui lo sapeva bene a cosa andava incontro. Ma ” non si è arreso”, come direbbe Alberto Solesin. Ha scelto di raccontare milioni di vite, quelle che sono stampate nelle sue fotografie. E che grazie a lui, forse, avranno giustizia.
” The Lady”, viene chiamata in un famoso film dedicato proprio a lei, la leader della Birmania, Aung San Suu Kyi. Dopo una lotta di 25 anni contro il regime militare che l’ha costretta ai servizi domiciliari, oggi, è stata eletta premier in Birmania. E’ riuscita a ritirare il Nobel per la Pace, si è fatta amare da tutti per il suo coraggio e la forza di non cedere mai, anche nei momenti più difficili. Dopo la morte del padre ucciso da oppositori politici, si è rimboccata le maniche….Ha deciso di seguire la strada di sua madre, ambasciatrice in India, di lottare per migliorare la sua terra. Per gridare al mondo che sì, può esserci democrazia anche in un Paese governato da militari….Può esserci resistendo e portando avanti idee forti, libere, idee che possono cambiare molto. Forse tutto.
Madre, donna e giornalista. Asmae ha origini siriane, vive in provincia di Ancona ed ha scelto di raccontarla questa guerra, la guerra degli innocenti, dei bambini uccisi da gas tossico, di kamikaze adolescenti che si fanno esplodere per le vie Aleppo. La guerra di Siria. Asmae parte, va nel suo Paese per far conoscere a tutti quell’orrore, apre un blog perché nessuno possa dimenticare cosa vuol dire armarsi e morire. Pensa ai suoi figli, quando è laggiù, ma pensa anche a tutti i bambini siriani, figli suoi e di tutti, che restano orfani o vengono dati in pasto alle milizie che li trasformeranno in bambini-soldato. Tira fuori le sue vere armi, potentissime e pericolose: la forza della parola e del cuore.