L’ictus o stroke è la seconda causa di morte e la prima causa di invalidità nel mondo occidentale. Nel nostro Paese sono più di 200.000 i nuovi casi di ictus l’anno, con una mortalità del 25 per cento entro 30 giorni e con il 50 per cento di pazienti che non recuperano una sufficiente autonomia dopo 12 mesi. Di questi la metà circa non riesce nemmeno a tornare alle proprie famiglie, alle proprie case, ma deve essere assistita in una Istituzione. Estrapolando per l’Italia i dati europei del 2010, pubblicati dallo European Brain Council nell’ottobre 2011, i costi dell’ictus (calcolando solo i nuovi casi per anno) sono pari a 4200 milioni di euro, con un costo per paziente di circa 21.000 euro. Solo i pazienti con sclerosi multipla costano, per singolo caso, di più, ma perché in questa patologia il costo viene calcolato sulla cronicità della malattia.
L’ictus è una lesione del cervello legata all’interruzione dell’apporto di sangue, e quindi di ossigeno, in una determinata zona del nostro sistema nervoso centrale. La lesione può risultare mortale oppure lasciare come esito un’invalidità permanente. O ancora guarire del tutto. In media si può far valere la regola del tre. Un terzo dei pazienti riporta danni quasi impercettibili, un terzo soffre di una menomazione modesta e un terzo presenta una grave invalidità. In ogni caso, un primo episodio di “carenza” di sangue al cervello segnala una situazione di elevato rischio. Se si è verificato un semplice attacco ischemico transitorio (TIA), il rischio di andare incontro a ictus vero e proprio è variabile tra il 7 e il 12 per cento nel primo anno, per poi calare nei quattro anni successivi. In seguito a ictus ischemico, cioè legato alla presenza di un trombo o di un’embolia che impedisce l’apporto di sangue a una zona del cervello. Il rischio di un nuovo attacco varia dal 10 al 15 per cento nei primi dodici mesi dopo l’evento acuto, per poi mantenersi tra il 4 e il 9 per cento l’anno nei primi cinque anni. L’ictus acuto viene comunque curato oggi con sempre maggior efficacia. Il motivo? Sono sempre di più le Stroke Unit, strutture di terapia intensiva che rappresentano per l’ictus quello che le unità coronariche significano per l’infarto. Ovvero centri specializzati in cui vengono costantemente tenute sotto controllo, 24 ore su 24, le funzioni fondamentali dell’organismo come pressione arteriosa, respirazione, attività cerebrale. Molto si è fatto anche in termini di diagnosi preventiva. Grazie a esami come l’ecodoppler, ad esempio, si può riconoscere per tempo un’eventuale ostruzione a carico di un’arteria che porta sangue al cervello, prima tra tutte la carotide. Ma prevenire significa soprattutto evitare le cattive abitudini, come il fumo di sigaretta o il sovrappeso, e tenere sotto controllo malattie come l’ipertensione e il diabete. Perché queste condizioni di rischio aumentano il pericolo di andare incontro a ictus, specie se esiste una sorta di “ereditarietà” genetica.
LA POST-STROKE CHECKLIST (PSC)
È uno strumento semplice di valutazione sulle condizioni di una persona che ha subito un ictus. Si tratta di un questionario dedicato ai sanitari, che ha lo scopo di riconoscere precocemente attraverso facili domande eventuali problemi cronici nei soggetti sopravvissuti all’ictus e quindi a rendere più mirato ed appropriato l’approccio terapeutico per ogni singolo caso. Si compone di undici diverse domande, relative ognuna a specifiche tematiche sintomatologiche e di qualità di vita, dalla prevenzione secondaria fino all’autonomia, dalla gestione corretta della spasticità fino al dolore, all’incontinenza, alle capacità di movimento e all’attività sessuale. L’obiettivo della Post-Stroke Checklist (acronimo “PSC”) è proprio quello di evidenziare tali complicanze non appena insorgono, facilitando il follow up adeguato del paziente, l’invio al giusto referente/specialista che, quindi, interverrà con un’analisi approfondita e/o il trattamento farmacologico. Per ogni domanda infatti vengono proposte due diverse soluzioni, sulla scorta di una possibile risposta positiva o negativa, con un chiaro riferimento alla figura sanitaria che deve farsi carico delle problematiche del paziente, sia essa il medico di medicina generale, lo specialista neurologo, fisiatra o di altro tipo, il fisioterapista o l’infermiere specializzato. Grazie a questo semplice test di valutazione, quindi si può ottimizzare l’approccio alle diverse problematiche a distanza del paziente colpito da ictus cerebrale, favorendo al contempo l’ottimale assistenza al malato e l’appropriatezza degli approcci sotto il profilo della sanità pubblica.
Lo strumento, pubblicato nel 2012 sul Journal of Stroke and Cardiovascular Diseases, è stato approvato recentemente dalla World Stroke Organization per migliorare il monitoraggio e la cura della persona che ha avuto un ictus
POST STROKE CHECKLIST: STRUMENTO FONDAMENTALE PER UNA CORRETTA GESTIONE DELL’ICTUS SUL TERRITORIO
Intervista a: Stefano Paolucci, segretario SIRN (Società Italiana di Riabilitazione Neurologica); IRCCS Fondazione Santa Lucia, Roma
Dottore, quali sono oggi le principali problematiche nell’assistenza al paziente con ictus?
Oltre ovviamente alla necessità di informare le persone sull’importanza del riconoscimento precoce dei segnali d’allarme dell’ictus e del ricorso al pronto soccorso il prima possibile, attualmente ci troviamo di fronte a una seria difficoltà nella gestione sul territorio del paziente che ha già avuto l’ictus. A fronte dei progressi registrati nel trattamento in urgenza di questa condizione e degli sviluppi della riabilitazione in regime di ricovero, quando il paziente rientra a casa si rileva, infatti, un’oggettiva carenza in termini assistenziali. Questo dato è di estremo significato considerando che l’ictus è una patologia classica della terza età e in questo periodo stiamo assistendo a un progressivo invecchiamento della popolazione italiana. Questo vuol dire che da un lato aumenta il numero delle persone che vanno incontro a questo problema di salute, dall’altro si assiste a un miglioramento dei trattamenti in urgenza, con una continua crescita della prevalenza dei soggetti che, passato il periodo di degenza, si trovano costretti a proseguire la riabilitazione a domicilio. In questa fase, i referenti del paziente e della famiglia sono il medico di medicina generale o il fisioterapista.
Quali risposte si possono offrire in questo senso, considerando che si tratta della principale causa di invalidità?
Oggi, come detto, disponiamo di molti dati sulla fase acuta e intensiva riabilitativa, mentre abbiamo poche informazioni sulla fase territoriale. Per accrescere queste conoscenze dobbiamo mettere a disposizione dei medici, in particolare di quelli di medicina generale, strumenti standardizzati per le valutazioni di monitoraggio del malato anche al di fuori dell’ambito specialistico. La Post-Stroke Checklist (PSC) rappresenta una risposta ottimale in questo senso: è uno strumento di alto valore scientifico, visto che è stata elaborata da un board prestigioso, ed è semplice e affidabile. Il questionario esamina solo le aree in cui è realmente possibile intervenire e offre informazioni che possono avere un impatto positivo sulla qualità di vita del malato. Con undici semplici domande, che possono essere fatte al malato stesso o a chi lo segue, il medico può ottenere indicazioni preziose sulla gestione delle problematiche che si presentano.
Dottore, nella PSC, insomma, vengono considerati i quadri su cui si può agire positivamente?
Proprio così. Le undici tematiche vengono affrontate con semplice domande con due possibilità di risposta, positiva o negativa. In base a quanto viene riportato, il medico o l’operatore sanitario (come ad esempio il fisioterapista) possono indirizzare l’azione da mettere in atto e quale sia lo specialista da coinvolgere nella gestione del paziente. Le domande, ad esempio, riguardano la prevenzione secondaria, fondamentale per ridurre il rischio di un nuovo ictus nel periodo successivo al primo, e la capacità del paziente di prendersi cura di se stesso nella vita di ogni giorno. Vengono poi prese in esame tematiche importanti come le capacità di movimento, la spasticità (che ha una prevalenza elevata tale da raggiungere anche il 40 per cento dei pazienti tre mesi dopo l’ictus), il dolore (che spesso si associa a questa situazione e può avere pesantissime ripercussioni sulla qualità di vita), l’incontinenza e la vita sessuale del malato. Particolare attenzione viene prestata anche alle capacità del paziente di comunicare con gli altri (l’afasia è presente in quasi un terzo dei malati), al tono dell’umore e alle capacità cognitive oltre che alle relazioni familiari. Al termine del questionario il medico ha, quindi, in mano una serie di risposte di grande interesse per la gestione del malato che vanno ad esplorare un caleidoscopio di segni e sintomi in grado di indirizzare un appropriato ed efficace percorso di cura e riabilitazione studiato per ogni singolo caso.
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